Venerdì 29 Dicembre 2017 ore
18,00
Patrizia Ferraro e Fabio Sarti
in
SERATA PIRANDELLO
regia
Antonio Zanoletti
SGOMBERO
Già
composta nel 1918 questa novella è imperniata sulla protagonista, Lora. Lora è
uno dei personaggi “esclusi”, “rifiutati” da Pirandello, come la sciantosa di
“Questa sera si recita a soggetto” e tanti altri ancora che ritrovati nei suoi
scritti vari ri-prendono vita completando a loro modo quella “commedia umana”
che è tutta l'opera di Pirandello. Lora cacciata dalla famiglia e costretta a
fare la prostituta, ritorna a casa per la morte del padre, sul cadavere del
quale rovescia tutta la sua rabbia di figlia rifiutata. Testo che dalla novella
è stato adattato per le scene e che grazie a quella grande attrice che è stata,
Paola Borboni, lo ha portato al successo. Dopo di lei poche altre attrici si
sono cimentate in questo monologo, fra cui Rosa Di Lucia, Franca Nuti e Zora
Piazza. Testo, quindi, quasi inedito per le scene nel panorama teatrale
italiano.
L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA
Fu rappresentato per la prima volta il 21 febbraio del
1923, diretto da Anton Giulio Bragaglia al Teatro degli Indipendenti, a Roma.
Tratto dalla novella “Caffè notturno” chiamata poi “La morte addosso” diventerà
grazie all'autore stesso, il monologo teatrale che tutti conosciamo, ma mai
abbastanza scandagliato. Il motivo centrale non è la morte avvenuta, come in
“All'uscita” altro atto unico poco conosciuto; non la morte scontata, ma quello
che Leopardi chiamerebbe “l'appressarsi della morte”. Il protagonista conosce
una misura di angoscia, ma anche di liberazione e Pirandello ne estrae una
particolarissima personale lirica. Questo atto unico è il vertice della
drammaturgia pirandelliana. Il protagonista vede finalmente il mondo quale è e
vi si specchia dicendo addio all'esistenza. Recupera ogni cosa della vita
cominciando dai più umili eventi come l'arte dei commessi di negozi. Guarda
spassionatamente alla vita, sulla soglia della morte accettata come condizione
vitale e non come spettro da ignorare o dimenticare per vivere. Il pensiero
della morte, si badi bene, è l'approdo alla vita, più consolante e più
stimolante. L'imminenza della morte attesa fa vedere come attraverso una lente
di ingrandimento cose mai viste prima, la realtà cui si deve aderire (“aderire,
aderire con l'immaginazione, continuamente, alla vita degli altri”). E da essere
umano, il protagonista tende a farsi cosa, oggetto, con un piacere di
identificazione sensuale; è sensuale per lui perfino il nome della malattia
(“più dolce di una caramella”), oppure (“vorrei essere veramente quella stoffa
là di seta...quel bordatino...quel nastro rosso o celeste...essere un rampicante
attorno alle sbarre di una cancellata”). La lente deformante da un lato permette
al protagonista di nutrirsi dei minimi sussulti che la vita ancora gli offre, e
dall'altro lo riporta a una dimensione totalmente immaginativa dove tutto
avviene nel pensiero che si fa ragionamento (“per richiami di immagini tra loro
lontane”); l'immaginazione sostituisce il vivere.